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copertina libro

Il libro, racconta la sapienza di quanti non sanno leggere ne scrivere. Questa specie di carne, di corpo della lingua che effettivamente infangata nel senso nobile della terra da cui viene io penso che è sempre troppo difficile rimodulare una chiave più universale “ come mi piace molto ricordare questa frase che in epiteto al libro è di Ernesto De Martino e dice così – “Coloro che non hanno radici, che sono cosmopoliti, si avviano alla morte della passione e dell’umano: per non essere provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria, a cui l’immagine e il cuore tornano sempre di nuovo, e che l’opera di scienza o di poesia riplasma in voce universale”. Ora riplasmare questa lingua in una voce più universale è un procedimento complicato, perché si passa da una mitologia, da una cosa che è molto localistica, naturalmente ristretta a una comunità e si rivolge a una lingua che può essere ospitale una da fuori può anche abitarci. Io trovo che il metro per ottenere questa lingua sia un po’ il metro epico, cioè quello che conosciamo dalla tradizione omerica in poi. Questo momento epico è la lingua in cui si parla del mito. Il mito cos è? È qualcosa che noi affidiamo al racconto. Il racconto può essere un racconto alto e conosciuto da tutti, l’odissea per esempio. Oppure un racconto ugualmente potente ma conosciuto da pochi per esempio le imprese del camionista Scatozza un vero mito ristretto di un paese dell’eco. Questa unificazione delle mitologie sono possibili ad ogni livello, perché tutto viene rielaborato nel racconto, e quando si affida il racconto. Al racconto si si affida già al mito, e questo è l’unico modo che abbiamo di accedere ad una forma deperibile forma di eternità cioè vivere nelle bocche degli altri. Ora credi ci sia una cosa straordinaria che io ho sperimentato soltanto per il fatto come dice il mio amico Sicuranza: “pigliarsi il fastidio”, cioè dedicarci del tempo e stare fermi perché nel minuscolo si può nascondere il gigantesco, però bisogna saper star li ad ascoltarlo. E la cosa più meravigliosa che mi è accaduta che pur non essendo o forse a causa di non essere cresciuto in un luogo come per esempio il paese dell’Eca e che nel mio conciso ho assistito a un poema epico che si canta ogni giorno e cioè le gesta dei vivi e dei morti che vengono composti nei racconti di ognuno come in una coralità. Non c’è uno che ti racconta tutta la storia, ma una che si compone. Questa storia rimodulata in una lingua che cerca di restituire in minima parte la vivacità, ed è quello che ho cercato in questo libro e che si disintegra a contatto con qualsiasi bravo narratore. Una rimodulazione di mitologie che sono partite dalle quelle familiari e poi sono arrivate fino alla rielaborazione di mitologie che si studiano sui libri per esempio la “bugonia” questa cosa che riguarda Dioniso, per cui il miele e le api sono nate dal corpo del toro con tutto il resto io l’ho applicata alla nascita dei “siensi” Quando ero piccolo, abitavamo all’Occhino, l’Occhino è a lato delle coste di Conza che vede Cairano da un lato, e si vede solo il profilo stagliato, e proprio mi chiedevo chissà come ci si arriva là sopra e tutti dicevano: “e la stanno i Cuppuluni” e mi sembravano una popolazione per lo meno isolata. E stavano la, e pur essendo isolata doveva avere qualcosa di fantastico, per cui mi sembrava proprio come nell’odissea quando si parla dei lotofagi dei ciclopi e ho detto chissà come saranno questi “Cuppuluni” e del resto non se ne vedeva mai uno, però mi piaceva una cosa più importante: sotto la Rupe di Cairano, si potevano e loro coltivavano i “siensi” e sarebbero i senni, come quelli che orlando furioso e Astolfo vanno a recuperare sulla luna i siensi. Qua nel libro, invece i siensi si dice li fabbricano sotto Cairano a forma di mosconi e li vendono a cassette come i pomodori. Questa era una delle prime mitologie più locali da cui sono partito e allora mi è sembrato una missione far partire un libro che era una serie di episodi, in cui ogni episodio costituisce la trama perché di capitolo in capitolo qualcuno ti affida una missione e tu vai a svolgerla. Una delle prime missioni è questo “Mandarino. Io non l’ho mai conosciuto Mandarino, dai racconti di famiglia mi sono fatto un’idea che fosse di una bella faccia rotonda un po’ orientale e fosse un grande possidente. Naturalmente non saprò mai come era Mandarino perché non l’ho mai conosciuto. Facciamo conto che questo Mandarino dice: “Tu, qua le cose non funzionano, non ci si sposa più, non si balla, le persone se ne sono andate, la casa dell’eco non l’affittano più. Qua bisogna fare qualcosa. Rivolgiamoci ad un noto brigante. Questo noto brigante, e qua i personaggi hanno dei nomi che non mi sono sentito di cambiare, l vicende a loro ispirate sono inventate ma i nomi purtroppo erano insuperabili, per esempio quando uno si chiama Camoia come lo vai a cambiare, quando uno si chiama Scatozza, quando uno si chiama Ciccillo Cicc’ Bennettt e quindi li abbiamo lasciati così. E da li Mandarino, piano piano dice la prima cosa che devi portare è una cassetta di “siensi” e le devi andare a prendere alla Rupe dei “Siensi”. Questa prima mitologia si fonde sulle mitologie più antiche. Uno va sopra Cairano, naturalmente abbiamo modificato i nomi per esempio Cairano diventa Cariano, dove lì ci sono le più antiche tombe a fossa, sono quelle cosiddette della civiltà arcaica Oliveto-Cairano e si scopre che i guarnimenti che accompagnavano queste tombe sono gli stessi che si trovano in Bosnia, che si trovano nell’Illiria e questo giustifica questa parentela che io ho sempre sentito a pelle con le popolazione dei Balcani. Io personalmente ho iniziato a fare caso a queste terre dopo aver visto un film straordinario di Emir Kusturica “Il tempo dei gitani” dove c’era un personaggio che io vedevo nelle foto dell’Occhino erano uguali, con i baffi aguzzi. Qua se uno dice ci sono gli spiriti così antichi di questa terra, all’epoca del ferro e tutto quanto, si capisce che i rivolgimenti della terra e questa è una terra proprio creposa, una terra selvatica che volentieri si scrolla di dosso l’opera dei cristiani a mezzo dei terremoti e correnti che di volta in volta hanno cancellato storie precedenti e mischiato e come dice Ciccillo : si sono mischiati temperamento e temperature. Mischiandosi tutti in questa specie di crogiolo e come se la terra stessa rinnovasse ogni volta la creazione e la distruzione del mondo, quel sottile confine che c’è come si diceva quando studiavo tra caos e cosmo. Ogni volta distruggere e ricreare. E poi si scopre che a Calitri il ricreo è una cosa perseguita dai Calitrani, cioè loro si vogliono ricreare. Il ricreo comporta il distruggimento rituale a mezzo di grosse bevute e mangiate, l’arte delle conversazione per potersi ricreare cioè creare un’altra volta. Da una piccola mitologia ne vengono molte altre. Poi ci sono queste mitologia straordinarie il ver sacrum il fatto stesso che Hirpini venga da Hirpos quindi dal lupo, ma il lupo in che lingua, non era latino era Osco già “Oschica”. Per sentire poi che certe popolazioni vanno per nominata, pensare che viviamo in un’epoca ognuno quasi per sfottere si dava una nominata e la si dava tutto il paese, al vicino ed è una ricchezza straordinaria e parte tutto da una cosa semplice: siamo gente che ama sfottersi. Io credo che ognuno di questi soprannomi e stato fatto per elevare un altro, solo per sfotterlo. Questo sfottimento, questo sfrecamento continuo ha provocato veramente delle grandi opere di fantasia. Ora torniamo a questa faccenda delle nominate. Già delle nominate più antiche, questi imparenta menti con un animale, un animale guida. Il mito della… era quello quando non bastavano le risorse per tutti, bisognava allontanare una parte della comunità e la si affidava nel suo cammino ad un animale guida. Se questa seguiva il lupo, diventava seguaci del lupo. Marsici, Sanniti, tutte queste popolazioni prima dei romani hanno qualche imparenta mento con storie di animali guida. Io credo che tutti noi abbiamo bisogno di capire il primo passo che si fa nello sciamanesimo è capire nel primo viaggio qual è il tuo animale guida. Questa è una cosa che ci parla profondamente nella nostra indole, nella nostra natura. E un altro passo per darsi un ‘altra identità è quello che qua ti chiedono sempre: “chi siete, a chi appartenete, dove andate? Ma soprattutto a chi appartenete? E qui ci soccorre lo storto nome, perché naturalmente per arte ci chiameremo tutti Canio Acocella. Invece con lo storto nome si individuano non per cose anagrafiche per imprese che hanno riguardato una singola vita e si tramandano dai figli.

Vinicio Capossela

Il paese dei coppoloni

Goleto, 11 aprile 2015

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